Finalmente l’ho beccato, quello che da un paio di giorni mi lascia le scritte sulla macchina. La parcheggio bene, mica sono un incivile, ci mancherebbe. Il mio posto, tra l’altro, è contrassegnato proprio col numero dell’interno. Non ci si può lamentare. Eppure, arrivo alla portiera e, immancabilmente, mi accorgo di un foglietto bianco, incastrato tra parabrezza e tergicristallo. Allora, che faccio?, lo prendo, perché metti che piove. Se piove, mi si attacca il foglietto al vetro e poi, quando arriva il sole, rimangono tutti i pezzi di carta secchi ed è un casino. Quindi, niente, prendo questo foglio, lo apro, mi guardo intorno e leggo. C’è sempre scritta la stessa cosa: LADRO MAGLIETTA. A me? Ladro? A me che non ho mai rubato niente in vita mia, nemmeno le caramelle da piccolo. Ogni mattina, la stessa storia. Ho smesso anche di rispondere quando suonano al citofono o bussano alla porta. Di questi tempi… Sono cose che ti mandano fuori di testa. Ecco, allora, mi sono deciso. Mi è costato un po’ di sonno ma alla fine l’ho visto, questo ragazzo che non conosco per niente, figurati se gli rubo qualcosa. Arriva così, seminudo – che poi, su, seminudo, dov’è il decoro? Questa città sta veramente andando a rotoli – mi lascia il messaggio e poi se ne va. L’ho seguito. Un giro senza capo né coda. C’era da aspettarselo. Ho chiamato al lavoro per dire che non andavo e gli sono stato alle costole fino alla sera, quando si è seduto fuori da un bar, in maniera così improvvisa che per un pelo non gli sono finito contro, riuscendo peraltro a infilarmi come un ghepardo nella porta. Mi sentivo i suoi occhi addosso. Per questo, con una certa nonchalance, mi sono guardato intorno e ho visto quella bottiglia, con la scritta NUNQUAM, che mi ricordava i tempi in cui andavo a scuola e la professoressa di latino tracciava le stesse lettere alla lavagna. “Prendo quello”, ho detto, guardando fuori con la coda dell’occhio.
“È un intenditore?”, mi chiede il barista.
“Cosa?”, gli rispondo distrattamente. “No, veramente, io l’ho preso, così, per la bottiglia”. Ma nel frattempo guardo oltre il vetro, dove vedo la schiena del ragazzo.
“Beh, le piacerà. È eccellente. Senta. Coraggio, senta”, e mi invita ad avvicinarmi al bicchiere. “Le sente le piante officinali? Le spezie? E gli agrumi?”
“Mah, veramente – dico – forse un profumo di arancia…albicocca?”
“Bene, bravo. Ottimo”.
Appoggio un gomito al bancone e faccio per bere, quando, spostando gli occhi verso l’esterno, vedo che il ragazzo si è alzato. Il riflesso delle sue braccia allargate lo fa sembrare quasi una divinità indiana. Una di quelle, appunto, con un sacco di braccia, come si chiama, Kali, non so, solo che lui è un maschio ed è pure parecchio grosso. E mi guarda fisso. Sembra che mi dica “E allora?”.
Ecco, con un lato del labbro dico al barista di fare finta di niente ma che fuori c’è un tipo strano, a torso nudo, che da giorni mi perseguita. Con la coda dell’occhio, lui verifica e si rilassa. “Quello è Dikembe”, dice, “ingegnere nucleare della Repubblica del Congo. È arrivato pochi giorni fa e gli hanno perso la valigia in aeroporto, poveretto. Saprà sì e no due parole di italiano. Gli hanno rubato anche il portafoglio. E l’ambasciata è chiusa per la festa nazionale. Poi, entra in casa, stende il bucato e gli cade l’unica maglietta che aveva tra i panni appesi nel terrazzo della casa di sotto. Suona da giorni ma non risponde mai nessuno. Oltre al danno, la beffa, no?”
Guardo fuori. Sorrido, credo, di un sorriso ebete. “Già”.
FINE
- Photo: Benito Tansi
- Model: Desmo
- Copy: Filippo Dionisi
- Location: Caffè Rubik
Alcol biologico, acqua di sorgente, zucchero, spezie, scorze di agrumi e piante officinali da coltivazione biodinamica e biologica.