“Mercoledì 24 aprile, ore 17:58. Questo è l’inizio del blocco dello scrittore. Forse non l’inizio, perché le cose non sai mai quando cominciano. Lo capisci dopo, quando ci sei dentro e, per fare qualcosa, pensi all’origine di tutto, al momento esatto in cui il cervello ha smesso di parlare all’inchiostro, come se avessero litigato irrimediabilmente”. Moreno Fontana solleva la penna e rilegge le poche righe che ha scritto – giusto per scrivere qualcosa – tra uno scarabocchio e l’altro, guardandosi intorno, cercando un’ispirazione e trovando solo un vecchio orologio che gli ha suggerito una data e un’ora convenzionali da attribuire al principio della crisi. Il suo primo libro, due anni fa, è stato un successo di pubblico, le case editrici hanno scatenato una lotta per aggiudicarsi il diritto di mettere il loro marchio sul secondo, i critici lo inseguono ancora per accaparrarsi qualche indiscrezione sulla nuova storia che, solo lui sa, non esce, proprio non viene. Al contrario di molti colleghi, Moreno Fontana – autore rivelazione dell’anno due anni fa grazie a ‘La ragazza col chiodo” (ed. Lampadina Rossa, 138 pg) – si concentra in mezzo alla gente, quando intorno a lui c’è una confusione quasi insopportabile, e quindi torna spesso lì, forse per scaramanzia, appoggia il quaderno sul bancone del bar e scrive. Ma non ora. Ora non scrive. Ora fissa quelle due frasi di crudele inutilità che cominciano con “Mercoledì 24 aprile, ore 17:58” ed è fermo. Paralizzato.
“Che problema hai?”
Solleva lo sguardo. Una ragazza col chiodo – ironia della sorte – gioca a fare roteare il ghiaccio nel bicchiere, sorride e sposta gli occhi sulla penna. Poi si concentra su quello che sembra un classico caso di blocco dello scrittore. Non sa chi sia Moreno Fontana. Non legge contemporanei. Al momento, è impegnata in una personale retrospettiva su Dostoevskij.
“Svariati”, risponde lui. “Generalmente li catalogo per non raddoppiarli”.
“Come le figurine”, dice lei.
“Come le figurine”, conferma lui, sorridendo. Sorride perché pensa che raramente le ragazze parlano di figurine e gli sembra una cosa bella il fatto che lei invece citi le figurine. Gli sembra bello anche che stia bevendo un amaro che si chiama Elio, come il vero protagonista ombra del suo primo libro, e gli sembra che sarebbe bello che esistesse una cosa così anche per il blocco dello scrittore, una cosa che ti aiuta – o almeno ti dà l’impressione di farlo – a digerire, a bucare il diaframma che ostruisce il passaggio delle idee. Qualcosa di amaro, sì, ma non troppo. Qualcosa che mischi gli odori e i sapori, la liquirizia che mastichi per smettere di fumare, il cacao che mettevi nel latte da bambino, l’uvetta che scarti dal panettone ma solo per mangiarla a parte, l’anice che piaceva a tua madre, la genziana che tuo nonno nascondeva in fondo alla credenza.
Moreno Fontana chiude il quaderno e prende la mano della ragazza, che diventa il quaderno. Le scrive qualcosa sul dorso, irregolare per via dei tendini. Entra nelle sue pupille, poi paga anche per lei e se ne va.
Lei lo segue con lo sguardo e appoggia gli occhi sulla sua stessa mano. “Mercoledì 24 aprile. Ore 18.27”.
FINE
- Photo: Gianluca Zonta
- Model: Fabio Rodda
- Copy: Filippo Dionisi
- Location: Caffè Rubik
Acqua, alcol, zucchero, aromi, colorante (E1 50a).