Sguscia fuori dal bancone, come un lombrico nella terra, tanto che tutti si affacciano per vedere se abbia o meno le gambe. Ce le ha. Sono lunghe e secche. Se non fossero ripiegate su se stesse come le aste di una tenda da campeggio, si direbbe che sono telescopiche.
“Ho quasi finito”, dice, ma non si capisce cosa abbia finito di fare, probabilmente un’operazione che richiede l’uso di entrambe le mani, un’azione che conosce a memoria o che comunque non potrebbe eseguire se, oltre alle mani, usasse anche la testa per controllare l’esito del gesto, una cosa tipo staccare un cavo dietro un’apparecchiatura pesantissima incastrata in un mobile.
Si morde le labbra e appoggia il mento al piano, con la testa che si muove leggermente e a scatti, come per effetto di una complessa serie di impulsi che coinvolge nervi, muscoli, ossa, articolazioni e cartilagini.
Una ragazza col cappello di lana e il naso aquilino lo osserva da un angolo e pensa che quell’impressione del lombrico che si agita nella terra sia suggerita anche dal nome della bottiglia che casualmente si trova sul bancone e che lui riesce incredibilmente a non urtare. Erbes. A lei ricorda, ovviamente, l’erba. Non ha molta fantasia. Glielo dicevano anche a scuola. All’asilo. Alla materna. Alle elementari. Alle medie. Alle superiori. Brava ragazza, gran cervello, poca fantasia. Ma ora guarda quel lombrico. E il proprietario del bar, pensando che stia guardando la bottiglia, le dice che quell’amaro lo ha inventato Vincenzo Izzi, un pasticcere di Fondi, vicino a Latina, nei primi anni del ‘900. Lei si volta e dice “ma parla con me?”. E lui fa cenno di sì e continua a raccontare di questo tipo, un tipo davvero singolare, dice, che lavorava in pasticceria ma era appassionato di chimica ed erboristeria e quindi, un giorno, prende china, rabarbaro, genziana e camomilla, roba così, e tira fuori questo liquore, che casualmente ha anche straordinarie proprietà toniche e digestive.
Allora la ragazza con poca fantasia, che in realtà era semplicemente solitaria e non aveva nessuna voglia di condividere con compagni di scuola e professori quello che le passava per la testa, si volta di nuovo verso il lombrico e improvvisamente se lo immagina in un laboratorio male illuminato, o meglio, illuminato in maniera espressionista, un laboratorio pieno di alambicchi e recipienti di vetro sottilissimo, con le bolle che gorgogliano e i fumi che salgono e creano ombre cinesi sulle pareti, storie impalpabili e circolari di fumo che si incastrano con la silhouette filiforme e luciferina del lombrico, che a un certo punto, dopo anni di tentativi, alza le mani al cielo ed esclama “ce l’ho fatta!”
“Ce l’ho fatta”, dice in effetti in lombrico, e lascia riemergere un braccio facendolo scarrellare lungo il corpo. Tra le dita nere e scorticate ha qualcosa e tutti si avvicinano per guardare meglio. Anche il proprietario. Che stringe gli occhi e sussurra “Pensa un po’”.
- Photo: Carolina Martines
- Model: Alex Paniz
- Copy: Filippo Dionisi
- Location: Caffè Rubik
Acqua, alcol idrato, zucchero, estratto fluido composto speciale Izzi, genziana, caramello.