Un ragazzo e una ragazza litigavano appena fuori dalla porta, che era aperta perché qualcuno, uscendo, aveva scordato di chiuderla. Clark – come lo chiamavano tutti da quando aveva dovuto mettere gli occhiali, cosicché sembrava che avesse assunto un’identità segreta per nascondere la sua personalità di supereroe, tipo, appunto Superman – era stato attirato da un movimento brusco che era finito per caso nel suo campo visivo. Non era uno che interveniva nelle discussioni, non cercava di mettere pace, in generale si faceva i fatti suoi. E, anche in quell’occasione, non era tanto che un uomo se la stesse prendendo con una donna a dargli noia, quanto che lo stesse facendo fuori dal suo bar e che qualcuno avesse lasciato la porta aperta, dando così modo a un’aria fredda e maligna di insinuarsi nel locale. In effetti, la sua reazione – almeno all’inizio – non era stata, come dire, particolarmente epica. Si era limitato a bloccare il braccio con cui stava versando questo Amaro Palent a una rappresentativa della squadra polacca di lotta greco-romana che tornava da un ritiro in Valle Maira – dove i componenti lo avevano provato per la prima volta – e ad alzare un sopracciglio, che per lui era già comunque un passo oltre l’indifferenza. Continuando a sentire in sottofondo le parole dei polacchi, che in un italiano acrobatico cercavano di ripetergli a memoria quello che era stato loro detto al rifugio – e cioè che il liquore era ricavato dall’infusione a freddo di erbe, radici e frutti della natura e che uno di loro ne aveva apprezzato le proprietà digestive, dopo tutto quello che si era mangiato – si era concentrato sul gesto del ragazzo, che stava come caricando uno schiaffo ma ancora forse lo stava solo pensando, e aveva calcolatola traiettoria probabile e il tempo che ci avrebbe messo la mano a raggiungere la faccia della ragazza. Quindi, senza spostarsi di un millimetro, aveva detto qualcosa come “Non mi sembra il caso”.
Il ragazzo, sorpreso dall’intromissione, quasi senza rivolgergli lo sguardo, gli aveva chiesto di ripetere. E lui aveva ripetuto “Non mi sembra il caso. Almeno non qui. Non ora – e aveva guardato lei – Forse mai”.
L’espressione della ragazza, che prima tradiva solo una rabbia privata, ora si era riempita di un terrore universale. Il ragazzo aveva sorriso. “Continua a pulire il bancone e poi pulisciti le lenti, perché forse non hai capito con chi hai a che fare, quattrocchi.”
L’aria si era fermata. Qualcuno dice che Clark abbia scavalcato il bancone e che, senza pensarci troppo, abbia mandato a terra il ragazzo con un destro micidiale, perché a lui, Quattrocchi, non lo aveva chiamato mai nessuno. E che poi sia tornato al suo posto e abbia continuato a fare quello che stava facendo. Nel silenzio generale della squadra polacca, che poi era tornata in patria e, con i racconti distorti dei membri, aveva dato vita alla leggenda di un tale Clark Palent che, ovviamente originario di Varsavia, aveva steso 13 energumeni del posto che se l’erano presa con una bambina indifesa e vestita di stracci che voleva solo vendere fiammiferi per raggranellare qualche spicciolo per la mamma malata.
FINE
- Photo: Fabio Furlotti
- Model: Valerio Schiazza
- Copy: Filippo Dionisi
- Location: Caffè Rubik
Acqua, alcol etilico bio, zucchero di canna bio, infuso di erbe bio, radici e piccoli frutti bio.